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In una recente ordinanza (la numero 466 del 25 giugno 2020), il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato una serie di quesiti in relazione all’ambito di applicazione e alle modalità operative del termine di prescrizione decennale dell’actio iudicati di cui all’articolo 114, comma 1 del Codice del Processo Amministrativo.

In particolare i Giudici Amministrativi hanno posto i seguenti interrogativi:

a) se il termine di prescrizione decennale dell’actio iudicati previsto dal comma 1 dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo riguardi il diritto di azione o il diritto sostanziale riconosciuto dal giudicato;

b) se, ritenuta la prescrizione riferita all’azione processuale, il termine di prescrizione possa essere interrotto esclusivamente mediante l’esercizio dell’azione o anche mediante atti stragiudiziali volti a conseguire il bene della vita riconosciuto dal giudicato;

c) se, al di là del nomen iuris di prescrizione utilizzato dal comma 1 dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo, il termine di esercizio dell’actio iudicati operi, nella sostanza, come un termine di decadenza (al pari di tutti gli altri termini previsti dal codice del processo amministrativo per l’esercizio di azioni davanti al giudice amministrativo).

L’esigenza della rimessione all’Adunanza Plenaria è scaturita in particolare dalle peculiarità del caso concreto sottoposto al vaglio dei Giudici amministrativi di secondo grado, relativo alla richiesta – formulata nel 2020 – di esatta ottemperanza di una sentenza del 2001 che aveva dichiarato il diritto dei ricorrenti al pagamento di somme a titolo di differenze retributive e condannato l’amministrazione alla relativa corresponsione.

Tale sentenza, emessa dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nell’aprile del 2001, era stata successivamente notificata dai ricorrenti nell’aprile del 2011 (prima della scadenza decennale) all’amministrazione resistente che, tuttavia, ancora al 2020, non l’aveva eseguita.

Sicché, ai fini della decisione del ricorso in ottemperanza, assumeva importanza fondamentale accertarne la tempestività e quindi, in buona sostanza, appurare il rispetto del termine prescrizionale previsto per l’actio iudicati (verificando in particolare l’operatività di atti interruttivi).

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1) Premessa normativa.

Ciò premesso, al fine di comprendere a fondo i reali termini della questione, occorre prendere le mosse dal dato normativo, approfondendo gli istituiti che vengono in rilievo.

  • L’articolo 2953 del codice civile (rubricato “Prescrizione del giudicato”) introdotto in sede di coordinamento dei libri del codice civile, prevede un particolare regime prescrizionale, di durata decennale, in relazione ai diritti accertati con sentenza passata in giudicato, stabilendo che: “..I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni..”.

Il giudicato quindi non è colpito dalla prescrizione relativa al diritto cui esso si riferisce, ma dalla prescrizione sua propria che non può non essere se non quella generale ordinaria, di dieci anni (ai sensi dell’articolo 2946), termine entro il quale si prescrive quindi l’actio iudicati.

  • Il codice prevede altresì la possibilità che tutti i termini prescrizionali – e quindi anche quelli relativi all’actio iudicati[1] – possano essere interrotti (articolo 2943) e che, per effetto dell’interruzione, inizia un nuovo periodo di prescrizione (articolo 2945).

In particolare, l’articolo 2943, prevede che la prescrizione possa essere alternativamente interrotta: “..dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo..” (comma 1), “..dalla domanda proposta nel corso di un giudizio..” (comma 2) e “anche se il giudice adito è incompetente” (comma 3), ovvero “..da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri” (comma 4).

  • Quanto alle forme e modalità della costituzione in mora, l’articolo 1219 del codice civile prevede che “..Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto…”.

Sul punto, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che qualsiasi manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore è qualificabile come atto di messa in mora, essendo sufficiente a tal fine anche la mera comunicazione (per iscritto) del fatto costitutivo della pretesa.

La Suprema Corte ha infatti affermato che “..è principio consolidato di questa Corte che, in tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo), requisito quest’ultimo che non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto..”[2] essendo “…sufficiente a tal fine la mera comunicazione del fatto costitutivo della pretesa..”[3].

La notifica della sentenza può perciò costituire, al pari della domanda giudiziale, atto valido per l’interruzione della prescrizione, laddove essa integri una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore.

Si è invero deciso che “..al pari della domanda giudiziale, che implica la volontà del creditore di ottenere l’accertamento e la tutela del proprio diritto, può costituire atto valido per l’interruzione anche la notifica della sentenza, ove possa essere considerata come richiesta scritta di adempimento rivolta dal creditore al debitore..”[4].

  • L’articolo 112 del codice del processo amministrativo, quindi, deputato a disciplinare il giudizio di ottemperanza, stabilisce che “..l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione: a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato; d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione; e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato..”.

Il giudizio di ottemperanza è infatti volto a garantire l’attuazione delle decisioni giudiziali nei confronti della pubblica amministrazione, rispondendo a quei principi di effettività ed efficacia della tutela giurisdizionale, sanciti dagli articoli 24 e 113 della Costituzione, nonché dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dall’articolo 13 della CEDU[5].

  • Quanto poi, al procedimento del giudizio di ottemperanza, l’articolo 114 del codice del processo amministrativo, prevede che “..l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza..”.

Il tenore della norma evidentemente ricalca (anche per le espressioni lessicali ivi utilizzate) quello di cui all’articolo 2953 del codice civile, espressamente qualificando il termine decennale per l’actio iudicati quale termine prescrizionale (come tale quindi, soggetto a possibile interruzione ai sensi dell’articolo 2945 del codice civile).

Ciò che peraltro facilmente si spiega, dal momento che il giudizio di ottemperanza – considerato il succitato vasto ambito di applicazione – per nulla si differenzia dall’actio iudicati in sede civile, essendo esso volto a conseguire l’esecuzione dei giudicati sia amministrativi che civili (ponendosi peraltro, in relazione a questi ultimi, come rimedio alternativo al giudizio di esecuzione in sede civile).

2) Sulla natura prescrizionale del termine decennale di cui all’articolo 114 del codice del processo amministrativo

Alla luce delle premesse normative, risulta evidente come il termine decennale individuato dall’articolo 114 del codice del processo amministrativo abbia natura prescrizionale.

In favore di ciò, militano non solo il tenore letterale dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo, ma anche ragioni di carattere storico, strutturale e sistematico, in armonia con le norme e dei principi dettati dal codice del processo amministrativo, coi principi generali dell’ordinamento, nonché con quelli costituzionali ed euro-unitari (in primis, quale quello del giusto processo ai sensi del 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della CEDU, e dei connessi principi di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale).

A) Quanto al dato letterale, la norma parla di termine di prescrizione e non di decadenza[6] (istituti cui la differenza è ovviamente ben nota al legislatore e agli “addetti ai lavori”).

È a tal proposito immediata la considerazione che, laddove la norma avesse voluto impedire l’interruzione del termine decennale per la proposizione del giudizio di ottemperanza e per l’esercizio dell’actio iudicati, avrebbe dovuto farlo, qualificando espressamente il termine come decadenziale (posto che, come noto, a differenza del termine di prescrizione, quello decadenziale non è suscettibile di interruzione).

In effetti, e a ben vedere, laddove la prescrizione di cui al succitato articolo 114 riguardasse solo il diritto di azione costituirebbe in realtà una decadenza, e costringerebbe l’interprete ad ammettere l’esistenza di un “grossolano errore” del legislatore, il quale avrebbe impropriamente utilizzato un termine al posto di un altro.

Tale interpretazione appare a chi scrive difficilmente insostenibile, anche alla luce delle ragioni di ordine logico-sistematico di cui si dirà appresso.

B) Ed invero, non può in primo luogo ignorarsi che i termini decadenziali sono tipicamente di breve durata, in quanto propriamente connotati da finalità acceleratorie e di sollecito consolidamento delle situazioni giuridiche.

Sarebbe perciò distonica e a-sistematica l’attribuzione di una natura decadenziale ad un termine di durata decennale – quale appunto quello previsto dall’articolo 114 del codice del processo amministrativo – in quanto ciò costituirebbe un vero e proprio unicum all’interno del panorama normativo (ove non si rinvengono termini decadenziali di durata così estesa).

Conseguenza logica impone quindi di ritenere che un termine decadenziale non sia ragionevolmente compatibile con una così lunga durata.

Al contrario, appare evidente che il predetto termine decennale ricalchi volutamente quello di prescrizione proprio della tutela in sede giurisdizionale dei diritti scaturenti dal giudicato in sede civile, emergendo con chiarezza un’evidente somiglianza (rectius: identità) tra il termine di prescrizione decennale da actio iudicati prevista dall’articolo 2953 del codice civile e quello, parimenti decennale, previsto dall’articolo 114 del codice del processo amministrativo.

Il raccordo tra le norme, l’identità della terminologia utilizzata, nonché il loro coerente inquadramento all’interno dell’ordinamento, unitamente alla loro interpretazione logico-sistematica, impongono pertanto di ritenere il termine decennale di cui all’articolo 114, quale termine prescrizionale, come tale suscettibile di interruzione anche attraverso “atti stragiudiziali”.

C) Ad ulteriore conferma di tale natura del termine in questione, rileva il principio per cui le previsioni legislative di decadenza sono di stretta interpretazione (escludendo perciò che possano essere ricavate in via interpretativa)[7].

Inoltre, a parere di chi scrive, il fatto che l’articolo 114 individui per l’azione di ottemperanza un termine prescrizionale mentre le altre norme del codice del processo amministrativo prevedono termini di natura decadenziale, lungi dall’essere una “macroscopica svista” del legislatore, è al contrario evidentemente indicativo d’una specifica voluntas legis tesa ad apprestare regimi diversi in relazione alle diverse tipologie di azione esercitabili innanzi al giudice amministrativo, distinguendo nettamente tra decadenze (tipiche dei giudizi impugnatori) e prescrizioni tipiche dei giudizi a carattere non impugnatorio (qual è il giudizio di ottemperanza).

Il giudizio di ottemperanza tende infatti esclusivamente ad adeguare – attraverso l’obbligo conformativo a carico della pubblica amministrazione soccombente – la situazione di fatto a quella di diritto risultante dal giudicato e pertanto si distingue nettamente dal modello-tipo del giudizio amministrativo “classico” di carattere impugnatorio[8].

Dal giudicato amministrativo promana infatti il cosiddetto “effetto conformativo” che obbliga l’amministrazione a eseguire le statuizioni del giudice amministrativo, ottemperandovi.

Pertanto – qualora l’amministrazione non adempia spontaneamente a tale specifico dovere – il privato che ha ottenuto il giudicato a sé favorevole può proporre ricorso per ottemperanza per ottenere l’esecuzione del giudicato, conseguendo l’adempimento dell’amministrazione ai doveri da esso nascenti.

Dalla suesposta considerazione consegue l’operatività di tutti i principi che disciplinano l’obbligo in senso stretto, e tra questi la regola generale della prescrizione dell’azione a tutela del diritto accertato dal giudice amministrativo.

Sul punto, anche la giurisprudenza formatasi anteriormente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo è rimasta “..ferma nel ritenere che l’esecuzione del giudicato costituisce per la pubblica amministrazione soccombente un preciso dovere, qualificabile come obbligo, anche se la particolare situazione giuridica soggettiva passiva è riferita principalmente all’an debeatur, fermo restando in alcuni casi, un ridotto margine di discrezionalità nel quomodo. Dalla suesposta considerazione consegue l’operatività di tutti i principi che disciplinano l’obbligo in senso stretto, e tra questi la regola generale della prescrizione dell’azione a tutela del diritto di credito che all’obbligo specularmente si contrappone..”[9], con la conseguenza che il termine prescrizionale dell’actio judicati nascente dal giudizio amministrativo può essere validamente interrotto da uno egli atti previsti dal 1219 del codice civile.

Sicché, anche alla stregua dell’interpretazione storica della norma nonché di un’ermeneusi operata secondo criteri logici e di coerenza sistematica, il termine decennale previsto dall’articolo 114 del codice del processo amministrativo si identifica coerentemente col termine prescrizionale per la tutela dei diritti scaturenti dal giudicato, ammettendo di conseguenza la possibilità di adozione di atti interruttivi.

D) Le superiori considerazioni assumono valore ancor più permeante nei casi (come quello sottoposto al vaglio del Consiglio di Giustizia Amministrativa nella fattispecie in questione) in cui il giudicato si forma in relazione a posizioni di diritto soggettivo perfetto in materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e per i quali pertanto non può che vigere l’ordinario termine prescrizionale.

In tali casi invero, qualificare come decadenziale un termine per la proposizione dell’actio iudicati a fronte di posizioni giuridiche soggettive ordinariamente tutelabili entro un termine di prescrizione, introdurrebbe nel sistema elementi di distonia difficilmente giustificabili, anche nell’ottica della pienezza ed effettività della tutela in sede giurisdizionale, alla stregua dei principi Costituzionali e Eurounitari.

Sicché, a parere di chi scrive, la tesi secondo cui il termine decennale per la proposizione del ricorso in ottemperanza sarebbe qualificabile come di decadenza – e non di prescrizione – non è neppure in astratto conciliabile con le ipotesi in cui il giudicato favorevole si sia formato in relazione a posizioni di diritto soggettivo perfetto in materie di giurisdizione esclusiva[10].

E) Ed ancora, a sostegno della natura prescrizionale del termine decennale previsto dall’articolo 114 del codice del processo amministrativo, milita altresì il principio del giusto processo, di cui all’articolo 111 della Costituzione richiamato dall’articolo 2 del Codice del processo amministrativo, secondo cui vanno privilegiate, nell’interpretazione delle norme processuali, le soluzioni esegetiche che agevolino la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini (rifiutando le opzioni ermeneutiche che la ostacolino o, addirittura, la impediscano).

Non può invero omettersi di considerare che accedendo ad una lettura “forzata” della norma in esame ed identificando quindi il termine decennale quale termine di decadenza per la proposizione del giudizio di ottemperanza (come tale non passibile di interruzione), si frapporrebbe un insormontabile ostacolo alla tutela del diritto portato dal giudicato, senza alcuna giustificazione tratta da chiare ragioni o espresse previsioni legislative.

Con l’evidente paradosso per cui la pubblica amministrazione sarebbe “incoraggiata” ad ignorare i propri obblighi conformativi per decenni, nonostante l’avvenuto passaggio in giudicato del diritto che le si oppone, e non tenendo in alcuna considerazione gli eventuali atti stragiudiziali di richiesta di adempimento e messa in mora (che quindi rimarrebbero, paradossalmente, privi di efficacia giuridica).

Ciò che contrasterebbe altresì con i principi di efficienza, efficacia e buon andamento dell’amministrazione, nonché – evidentemente – col principio di effettività della tutela giurisdizionale (essendo indubitabile che la tutela può dirsi effettiva solo quando gli strumenti volti a garantire il soddisfacimento del diritto su cui è sceso il giudicato siano idonei ed efficaci).

Pertanto, a parere di chi scrive, l’unica interpretazione possibile e costituzionalmente orientata della norma (capace di salvaguardare la coerenza e la logicità del sistema ordinamentale) appare quella per cui il termine decennale per l’esecuzione del giudicato ivi previsto ha natura prescrizione, e può pertanto essere interrotto nei termini e coi modi previsti dal codice civile.

Ciò peraltro si concilierebbe perfettamente coi principi di ragionevolezza e logicità, posto che nel nostro ordinamento l’inerzia dell’amministrazione innanzi ad un giudicato cui deve conformarsi è sanzionata anche attraverso il meccanismo delle astreintes (ormai considerate come veri e propri danni punitivi a chiara valenza sanzionatoria e non ripristinatoria, a conferma del particolare disvalore che la legge appunto conferisce al mancato adempimento agli obblighi conformativi incombenti sull’amministrazione).

F) Infine, non può sottacersi come sostenere la natura decadenziale del termine dell’actio iudicati prevista dall’articolo 114 del codice del processo amministrativo, creerebbe una profonda distonia nel sistema anche in relazione all’esecuzione del giudicato delle sentenze del giudice ordinario (come detto, rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 114).

Invero, posto che l’esecuzione del giudicato civile è soggetta alla duplice alternativa del giudizio di ottemperanza ovvero di esecuzione in sede civile, laddove l’actio iudicati al medesimo giudicato venisse promossa innanzi al giudice civile essa sarebbe soggetta alla prescrizione decennale (con la relativa possibilità di interrompere il termine), mentre laddove si scegliesse di eseguire il medesimo giudicato promuovendo giudizio di ottemperanza, l’actio iudicati dovrebbe essere necessariamente esperita nel termine (asseritamente) decadenziale decennale, non passibile di alcuna interruzione.

Ciò che sarebbe palesemente illogico (oltreché “ingiusto”).

3)  Le pronunce giurisprudenziali.

Quanto finora rilevato, trova conforto nelle decisioni giurisprudenziali, essendosi in proposito ritenuto che “..l’esecuzione delle pronunce del giudice costituisce un obbligo per la p.a. ed il giudizio di ottemperanza non è un giudizio impugnatorio, tendendo esclusivamente l’azione medesima ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto risultante dal giudicato..”[11].

Di conseguenza “..il termine decennale per l’esercizio dell’actio iudicati di cui all’art. 114 c.p.a. è termine di prescrizione e non di decadenza..”[12] e pertanto “.trattandosi di termine prescrizionale, e non di decadenza dell’azione, deve intendersi, come tale, soggetto ad interruzione..”[13].

Con l’ulteriore considerazione, che “..a sostegno di tale interpretazione può essere invocato anche il principio del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost., richiamato dall’art. 2 del Codice del processo amministrativo, secondo cui vanno privilegiate, nell’interpretazione delle norme processuali, le soluzioni esegetiche che agevolino la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e rifiutate le opzioni ermeneutiche che la ostacolino o, addirittura, la impediscano..”[14].

Giungendosi pertanto alla conclusione, che “..l’articolo 114, comma 1, Cod. proc. amm. deve essere interpretato nel senso che il termine decennale ivi richiamato, in quanto collegato al decorso del termine di prescrizione decennale del diritto sottostante (e anzi, in ultima analisi, coincidente con esso) ammette certamente l’adozione di atti interruttivi del termine..”[15].

A ben vedere, non si registra in giurisprudenza alcun contrasto in relazione alla qualificazione del termine decennale di cui all’articolo 114 del codice del processo amministrativo (ciò di cui peraltro si dà atto anche nell’ordinanza di remissione in commento, ove si evidenzia che “..le decisioni giurisprudenziali sono, allo stato, concordi nel definire il termine decennale previsto per la proposizione dell’azione di ottemperanza quale termine di prescrizione e non di decadenza..”[16]).

L’interruzione della prescrizione dell’actio iudicati mediante atti stragiudiziali, è stata infatti riconosciuta anche dalla giurisprudenza amministrativa nel regime antecedente all’entrata in vigore dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo, ritenendosi che “…il termine prescrizionale dell’actio judicati nascente dal giudizio amministrativo non è validamente interrotto da richieste orali, ma solo da uno egli atti previsti dal 1219 c.c…”[17].

Una simile corretta impostazione, risalente ad epoca anteriore alla codificazione del processo amministrativo, è stata solo “apparentemente” contraddetta dalla decisione dell’Adunanza Plenaria numero 5 del 1991 (che invero viene richiamata nell’ordinanza di rimessione in commento).

Sul punto infatti – quanto all’esatta lettura del “decisum” dell’Adunanza Plenaria – occorre leggere la sentenza della Sesta Sezione del 30 dicembre 2014 numero 6432, laddove si afferma che “..la tesi secondo cui l’actio iudicati di cui all’articolo 90 del r.d. n. 642 del 1907 (oggi: articolo 114 Cod. proc. amm.) sarebbe proponibile entro un termine da qualificarsi come prescrizionale – e in quanto tale suscettibile di atti interruttivi – è stata già affermata dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato..”, sicché “..in particolare, la richiamata decisione n. 5 del 1991 aveva – appunto – ammesso “l’effetto interruttivo del gravame” per effetto della proposizione, nelle more del decorso del termine per la proposizione dell’actio iudicati, di un’azione in sede giudiziaria (pur se dinanzi a un giudice in seguito dichiarato incompetente – punto 2 della motivazione in diritto)..”.

Riesce pertanto agevole comprendere come l’Adunanza Plenaria del ’91 non abbia affatto escluso che il termine decennale di cui si discute possa essere interrotto.

Al contrario lo ha espressamente ammesso osservando come tale effetto interruttivo possa discendere anche da un’azione proposta innanzi a giudice incompetente (il che non autorizza affatto a concludere che non si possa fare ricorso agli altri strumenti interruttivi previsti dall’ordinamento).

4)  L’Adunanza Plenaria: sentenza numero 24 del 4 dicembre 2020.

Le superiori considerazioni trovano piena conferma nel recente pronunciamento dell’Adunanza Plenaria che – respingendo le perplessità sollevate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede di rimessione con l’ordinanza numero 466 del 25 giugno 2020 – ha enunciato il seguente principio di diritto: “Il termine decennale previsto dall’art. 114, comma 1, del c.p.a. in ogni caso può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato”.

La sentenza parte dalla condivisibile premessa metodologica secondo cui le questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione, vanno esaminate “..tenendo conto della evoluzione della normativa nazionale in tema di giudizio di ottemperanza e di prescrizione, nonché del principio di pari dignità della tutela dei diritti e degli interessi legittimi..”.

Dopo un’accurata ricostruzione dell’evoluzione storica del giudizio di ottemperanza e della disciplina civilistica della prescrizione[18], i Giudici del Supremo Consesso hanno innanzi tutto precisato che “..nella giurisprudenza di questo Consiglio – prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo – non si è mai dubitato della applicabilità degli articoli 2953 e 2943, quarto comma, per la proponibilità di ricorsi d’ottemperanza nel caso di mancata esecuzione dei giudicati civili o di mancata esecuzione dei giudicati amministrativi riguardanti posizioni di diritti”.

Ciò in quanto la tutela dei diritti soggettivi deve essere effettiva ed essa (sia che si tratti di azioni di cognizione, cautelari o d’esecuzione in una materia devoluta in sede di giurisdizione amministrativa esclusiva) “..non può essere inferiore a quella prospettabile innanzi al giudice civile..”[19].

Semmai, il dubbio sulla natura e sull’operatività del termine prescrizionale dell’actio iudicati (e della sua interruzione mediante iniziative ‘stragiudiziali’ degli interessati volte ad ottenere l’esecuzione del giudicato), si sarebbe potuto invero effettivamente porre solo con riferimento ai giudicati amministrativi di annullamento di atti lesivi di interessi legittimi (che, per definizione non sono soggetti a ‘prescrizione’).

L’Adunanza sul punto ha precisato che la giurisprudenza – ritenendo superata ed “impraticabile” la tesi secondo cui in ogni tempo il vincitore della lite avrebbe potuto agire col giudizio d’ottemperanza, per far emanare le misure volte alla esecuzione del giudicato relativo ad interessi legittimi – ha prevalentemente seguito la tesi per la quale il termine per la proposizione dell’azione si dovesse intendere “..non interrompibile’ quando si agiva in ottemperanza per la tutela di un interesse legittimo, con il corollario della necessaria proposizione del ricorso entro il termine decennale, pena la conseguente prescrizione..” (ciò evidentemente, in considerazione dell’esigenza per la quale i rapporti di diritto pubblico non possono restare a lungo in una situazione di incertezza).

A tale principio, si è poi implicitamente richiamata la sentenza dell’Adunanza Plenaria 26 agosto 1991, n. 5, la quale ha ritenuto però interrompibile il termine nel caso di adizione di un giudice incompetente, in implicita adesione al principio previsto per tale adizione dall’art. 2125, primo comma, del codice civile del 1865  (ora articolo 2943 del codice civile).

Poste tali premesse, l’Adunanza Plenaria ha ricordato che, nel sopra delineato quadro normativo e giurisprudenziale, il legislatore ha inserito nel codice del processo amministrativo l’articolo 114, comma 1, che in tema di giudizio d’ottemperanza dispone che “l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza”.

Sicchè, sotto il profilo lessicale, tale norma ha “..sancito la ‘regola della prescrizione decennale” riferendosi (consapevolmente) alla prescrizione della ‘azione’, senza fare riferimento alle posizioni giuridiche oggetto del giudicato.

Con la conseguenza che: a) per quanto riguarda l’actio iudicati del giudicato avente per oggetto diritti, il legislatore non ha colmato alcuna lacuna (proprio perché già gli articoli 2953 e 2943, quarto comma, del codice civile del 1942 hanno sancito le regole della prescrizione decennale e della sua interrompibilità); b) per quanto riguarda l’actio iudicati del giudicato avente per oggetto interessi legittimi, invece, il legislatore – nel tenere conto del precedente dibattito – ha ritenuto di non trasporre in legge il principio che la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 1991 e la giurisprudenza sopra richiamata avevano enunciato, come si è visto, in assenza di una specifica disposizione di legge.

Infatti “..l’art. 114, comma 1, ha introdotto la diversa regola per la quale in ogni caso è ‘interrompibile’ il termine di prescrizione decennale, quando si agisce con l’actio iudicati: non rileva sotto tale profilo la posizione soggettiva di cui si chieda tutela al giudice dell’ottemperanza..”.

Con la conseguenza che “..da tale comma, si desume chiaramente la determinazione del legislatore di qualificare come termine di prescrizione e non di decadenza quello entro il quale è proponibile il ricorso d’ottemperanza: non si può ritenere che il legislatore abbia utilizzato termini aventi un significato diverso da quello attribuibile in base alle nozioni generali…”.

Con riferimento ai diritti, infatti, tale determinazione risultava peraltro “costituzionalmente obbligata“, in ossequio al principio di uguaglianza e per i principi fondanti la giustizia amministrativa (artt. 3, 103 e 113 Cost.) alla stregua dei quali di certo “..non si sarebbe potuto introdurre per i diritti un termine decennale di ‘decadenza’, tale da rendere del tutto incoerente la disciplina processuale sull’actio iudicati con quella sostanziale prevista dall’art. 2953 del codice civile (che consente di interrompere la prescrizione anche quando si tratti di un diritto che abbia dato luogo ad un giudicato favorevole)..”.

Da ciò, i Giudici rilevano che una specifica ed autonoma portata applicativa dell’art. 114, comma 1, ha riguardato allora proprio l’actio iudicati riguardanti i giudicati aventi per oggetto posizioni di interesse legittimo, nel senso che il legislatore “..ha espressamente ammesso, in ogni caso, che il termine decennale, proprio perché è di prescrizione e non di decadenza, possa essere interrotto anche con idonei atti stragiudiziali, senza la necessità che entro il termine decennale sia notificato il ricorso d’ottemperanza..”.

Con la conclusione che “..la scelta del legislatore è stata dunque quella di disporre regole unitarie per l’actio iudicati, quanto al tempo della proposizione del ricorso d’ottemperanza, con riferimento sia ai diritti che agli interessi: ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus…”.

L’Adunanza Plenaria inoltre, confutando i “dubbi” sollevati dall’ordinanza di rimessione, ha inoltre precisato quanto segue.

A) La regola generale della interrompibilità del termine decennale di prescrizione dell’actio iudicati non risulta in contrasto con gli articoli 97 e 111 della Costituzione, diversamente a quanto è stato paventato dall’ordinanza di rimessione.

Si deve infatti considerare che:

– “..l’Amministrazione risultata soccombente nel giudizio di cognizione ha il dovere di dare esecuzione d’ufficio al giudicato: la mancata esecuzione del giudicato si pone in sé in contrasto con il principio del buon andamento dell’azione amministrativa…”;

“..Il rimedio del ricorso d’ottemperanza va visto come extrema ratio per ottenere in sede di giurisdizione di merito l’esecuzione del giudicato, qualora in sede amministrativa non vi sia stata una definizione della questione conforme al giudicato stesso, a seguito dei contatti eventualmente intercorsi tra le parti..”;

“..Tali contatti vanno considerati di per sé consentiti dal sistema e, in particolare, dall’art. 11 della legge n. 241 del 1990, il quale va interpretato nel senso che ben può essere concluso un accordo di natura transattiva, volto a definire una volta per tutte la controversia..”.

Scchè risulta “del tutto fisiologico” che nel corso del tempo il vincitore del giudizio di cognizione solleciti l’Amministrazione ad eseguire il giudicato, prospettando se del caso soluzioni che possano essere concordate, prima di proporre il giudizio d’ottemperanza (anche in un’ottica deflattiva del contenzioso).

In questo contesto, gli atti di impulso univocamente rivolti ad ottenere l’esecuzione del giudicato sono stati evidentemente ritenuti idonei dal legislatore ad interrompere il termine di prescrizione dell’actio iudicati “..non potendo essere ‘premiata’ l’Amministrazione – con una regola della non interrompibilità della prescrizione – quando, malgrado tali atti, non vi sia stata né la ‘unilaterale’ esecuzione del giudicato, né una soluzione consensuale…”.

B) La regola generale della interrompibilità del termine decennale di prescrizione dell’actio iudicati neppure risulta in contrasto col principio della ragionevole durata del processo.

Invero,  “..tale principio riguarda di per sé il periodo di tempo entro il quale deve esservi da parte del giudice la risposta di giustizia e non può essere inteso nel senso che vi siano preclusioni per il legislatore nel fissare una regola generale, per la quale – una volta ottenuto un giudicato favorevole – chi ha titolo ad ottenere l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto preferisca anche periodicamente sollecitare l’Amministrazione soccombente a dare esecuzione al giudicato, senza ricorrere al giudice dell’ottemperanza e confidando che l’Amministrazione stessa, nel rispetto dei propri doveri istituzionali, dia finalmente esecuzione del giudicato..”.

Sulla base del sopra delineato quadro normativo e giurisprudenziale pertanto, non sussistono più dubbi sulla natura prescrizionale del termine decennale previsto dal comma 1 dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo (e ciò, sia con riferimento al giudicato avente ad oggetto diritti soggettivi sia con quello relativo ad interessi legittimi), termine che, in coerenza, può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato.

Avvocato Simona Santoro.

[1] Si veda in tal senso, ex multis, Cassazione civile sez. I, numeri 7131, 1733, 2186, 2187 e 2188 del 2009.

[2] Ex multis, Cassazione Civile, ordinanza n. 16465/2017; Cassazione civile, sez. lav., 28/11/2016, n. 24116; Corte di Cassazione Civile, Sez. 3, Sentenza n. 3371 del 12/02/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 24656 del 3/12/2010.

[3] cfr. Cassazione Civile n. 16465/2017, n. 24116/2016, n. 24054/2015 e n. 15766/2006.

[4] cfr. ex multis, già Cassazione; ed anche T.A.R. Napoli, sez. IV, 27/02/2014, n.1243; nonché, più di recente Cassazione Civile numero 12983 del 2018 secondo cui “..la notificazione della sentenza di primo grado … può spiegare autonoma efficacia interruttiva della prescrizione stessa, ai sensi dell’art. 2945, comma 3, c.c. quando presenti i connotati dell’atto di costituzione in mora, a norma del citato art. 2943, comma 4, c.c. e cioè integri una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore..”.

[5] Và ricordato che in origine il giudizio di ottemperanza, per come introdotto dalla legge Crispi del 1889, era ammesso solo per le sentenze passate in giudicato dell’Autorità giudiziaria ordinaria, aventi per oggetto diritti civili e politici.

In seguito tuttavia, a partire dalla sentenza con cui nel 1928 il Consiglio di Stato ha ammesso per la prima volta l’ottemperabilità delle proprie decisioni, il campo di applicazione di tale giudizio è stato ampliato, finendo per ricomprendervi le sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato, le decisioni provvisoriamente esecutive pronunciate dal Giudice amministrativo, i lodi arbitrali divenuti inoppugnabili, nonché le sentenze passate in giudicato e gli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della Pubblica Amministrazione di conformarsi alla decisione.

[6] Il primo comma dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo testualmente dispone che “..l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza..”.

[7] Sul punto, si richiama quanto ribadito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 16 marzo 2015, numero 5160, ove si legge che “..quand’anche non voglia ritenersi, insieme alla prevalente dottrina ed a Cass. 16 giugno 1979 n. 3331, che le previsioni legislative di decadenza siano di stretta interpretazione e che perciò un termine di decadenza non possa ravvisarsi in via analogica, la possibilità di desumere in via interpretativa la natura, decadenziale o prescrittiva, di un termine (Cass. 26 giugno 2000 n. 8680) deve tener conto dell’idoneità della decadenza a rendere più difficile l’esercizio del diritto soggettivo anche in via giudiziale e perciò contrastare con gli artt. 24 e 112 Cost.’, per cui ‘nel dubbio, deve perciò propendersi per la prescrizione.’ D’altra parte, come pure ha affermato la detta pronuncia, ‘l’interesse del soggetto passivo alla liberazione dal vincolo obbligatorio anche ed eventualmente attraverso la prescrizione, o la decadenza del soggetto attivo dalla pretesa (interesse giuridicamente protetto poiché la prescrizione è species adquirendi: Cass. S.U. 3 febbraio 1996 n. 916), non è pregiudicato, come sembra ritenere Cass. S.U. n. 3288 del 1997, dal potere, spettante al creditore, di interrompere la prescrizione, giacché l’atto interruttivo avverte il debitore dell’opportunità di apprestare prove e più in generale difese giudiziali, non meno che l’atto di esercizio dell’azione..” (Cass. S.U. 16 novembre 1999 n. 783)’..” (Corte di Cassazione, Sez. Un., 16.03.2015 n. 5160).

[8] cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, n. 945 del 2014; C.S., sez. V, dec. 28.5.2009 n. 3261; sez. IV, dec. 10.10.2005 n. 5474).

[9] cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza del 30 marzo 1987.

[10] cfr. diffusamente sul punto, Consiglio di Stato sez. VI – 30/12/2014, n. 6432.

[11] Ex multis, CGA n. 544/2017; Consiglio di Stato sez. IV, 13/04/2016, n.1436; Consiglio di Stato, sez. III, n. 945 del 2014; Consiglio di Stato sez. VI, 30/12/2014, n.6432; Consiglio di Stato, sez. V, n. 5558 del 2011; T.A.R. Palermo, sez. I, 10/02/2020, n. 326; T.A.R. Brescia, Sez. II n. 298/2019; T.A.R. Venezia, sez. III, 18/06/2014 n. 860, nonché anche Tar Pescara, n. 183 del 2016 ove si rileva che “..nelle materie di giurisdizione esclusiva e nel giudizio di ottemperanza, ove vengono in considerazione termini di prescrizione e non di decadenza .. l’azione può essere riproposta entro il termine di prescrizione del diritto..”.

[12] Consiglio di Stato, sez. III, n. 945 del 2014; Consiglio di Stato sez. VI, 30/12/2014, n. 6432; C.d.S., sez. V, 18.10.2011, n. 5558; T.A.R. Venezia, sez. III, 18/06/2014, n. 860.

[13] Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 11/12/2017, n. 544; Consiglio di Stato, sez. III, n. 945 del 2014; Consiglio di Stato sez. VI, 30/12/2014, n. 6432; TA.R. Palermo, sez. I, 10/02/2020; T.A.R. Venezia , sez. III , 18/06/2014 , n. 860.

[14] Consiglio di Stato, sez. III, n. 945 del 2014; C.d.S., Sez. III, 28.10.2013, n. 5162; T.A.R. Palermo, sez. I, 10/02/2020, n.326; T.A.R. Venezia, sez. III , 18/06/2014 , n. 860.

[15] Consiglio di Stato sez. VI, 30/12/2014, n.6432; T.A.R., Venezia , sez. III , 18/06/2014, n. 860.

[16] Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, ordinanza numero 466 del 25 giugno 2020.

[17] ancora in proposito, Consiglio di Stato, sentenza numero 191 del 1987 già citata.

[18] Si rinvia sul punto alla lettura del paragrafo 5 della sentenza 24/2020 in commento.

[19] Sul puto l’Adunanza Plenaria rinvia anche ai precedenti: Ad. Plen., 18 dicembre 1940, n. 1; Ad. Plen., 26 ottobre 1979, n. 25; Ad. Plen., 30 marzo 2000, ord. n. 1; cfr. anche Corte Cost., 28 giugno 1985, n. 190.