Articolo pubblicato sul sito dello Studio Legale Scuderi – Motta

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La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la recente sentenza numero 11659 del 30 aprile 2024, ha espresso importanti princìpi in merito alla spettanza dell’indennità mensile di disoccupazione (c.d. NASPI) in capo ad un soggetto che ha già maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia anticipata.

Il caso di specie

La fattispecie trae origine dal ricorso presentato da un lavoratore avverso il provvedimento di recupero degli importi erogati dall’INPS a titolo di Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (d’ora in poi NASPI).

Era infatti accaduto che il lavoratore, a seguito del licenziamento intimatogli il 22 maggio 2019, aveva richiesto all’INPS di poter  ottenere la NASPI.

L’INPS accoglieva la richiesta e corrispondeva al lavoratore il beneficio, a far data dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Avendo maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia anticipata a partire dall’1 settembre 2019, il lavoratore – con istanza del successivo 20 novembre 2019 – richiedeva di accedere al trattamento pensionistico, che gli veniva corrisposto a decorrere dal primo dicembre 2019.

Nel frattempo, il lavoratore beneficiava della NASPI fino al 31 ottobre 2019.

Successivamente l’INPS, con provvedimento del 10 maggio 2020, revocava la concessione dell’indennità di disoccupazione e ne chiedeva la restituzione in relazione al periodo dal primo settembre 2019 (data in cui il lavoratore risultava in possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia anticipata) al 31 ottobre 2019, sostenendo l’automatica decadenza dal beneficio della NASPI al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento.

I primi due gradi di giudizio

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno ritenuto fondato il ricorso del lavoratore, dando rilievo alla necessità di tutelare l’accipiens di buona fede, che peraltro non aveva fruito contemporaneamente di due prestazioni ma solo della NASPI che pacificamente è  “prestazione assistenziale […] meno vantaggiosa” della pensione.

Secondo i Giudici territoriali, infatti, al caso di specie è applicabile “..la disciplina speciale sull’indebito assistenziale, assoggettato ad una disciplina settoriale eccentrica rispetto alla […] regola privatistica dell’art. 2033 c.c…”, rilevando peraltro come, “nel bilanciamento dei contrapposti interessi”, occorresse considerare che il lavoratore “ha perso tre ratei di pensione” e, nell’ipotesi di accoglimento della domanda restitutoria, resterebbe privo di mezzi di sostentamento pur avendo già maturato i requisiti per accedere alla pensione, laddove l’INPS ha lucrato un risparmio di spesa..”.

Il Giudizio in Cassazione

Avverso la decisione della Corte d’Appello, proponeva ricorso per cassazione l’INPS, deducendo l’erroneità della sentenza:

– nella parte in cui ha respinto la domanda di restituzione dell’indennità NASPI, percepita dal lavoratore nonostante egli avesse già maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia anticipata (assumendo che la NASPI spetti soltanto fino alla maturazione del diritto di conseguire la pensione di vecchiaia anticipata);

– e nella parte in cui i Giudici hanno ritenuto di applicare al caso di specie la disciplina dell’indebito assistenziale, in luogo di quella generale dell’articolo 2033 del codice civile, rientrando la NASPI tra le prestazioni previdenziali non pensionistiche (assoggettate, quanto alla ripetizione, alla disciplina comune dell’art. 2033 cod. civ.).

La Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso evidenziando che:

la NASPI è una prestazione previdenziale non pensionistica, come si evince dal dettato normativo (d.lgs. n. 22 del 2015);

– rispetto alla prestazione dedotta in causa non operano, pertanto, le regole di settore dettate dalla legge per l’indebito previdenziale pensionistico (art. 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, come modificato dall’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412), che si configurano come una disciplina eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica oltre il perimetro tracciato dal legislatore (Cass., sez. lav., 19 aprile 2021, n. 10274)…”;

– inoltre, al caso di specie non si applicano i princìpi vigenti nel sottosistema dell’indebito assistenziale che, in consonanza con il precetto dell’art. 38 Cost., escludono l’incondizionata ripetibilità in presenza di una situazione idonea a generare l’affidamento del percettore, ove a quest’ultimo non possa essere imputata l’erogazione indebita (Cass., sez. lav., 10 agosto 2022, n. 24617, in linea con le affermazioni di Corte costituzionale, ordinanza n. 264 del 2004)…”;

la fattispecie, dunque, soggiace alla disciplina generale dell’indebito prevista dall’articolo 2033 del codice civile e pertanto la sentenza impugnata, nel negare l’operatività dell’art. 2033 cod. civ., ha sussunto la vicenda concreta in una fattispecie astratta che non le si addice e risulta viziata, pertanto, dagli errores in iudicando denunciati nel ricorso…”.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello che “…in diversa composizione, rinnoverà l’esame della controversia alla stregua dell’art. 2033 cod. civ. e pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio…”.

Ciò posto, tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto di fornire alcune coordinate ermeneutiche al giudice del rinvio, precisando che lo stesso dovrà ponderare anche la tutela dell’affidamento incolpevole di chi abbia percepito la prestazione indebita…”, considerando che il canone di buona fede permea anche l’azione volta al recupero delle prestazioni indebite e che la contrarietà a buona fede del contegno del solvens presuppone che l’azione di recupero, per le modalità e per i tempi che ne contraddistinguono l’esercizio, leda un affidamento meritevole di tutela e si connoti, in modo pregnante, come abusiva…”.

Sicché, il giudice dovrà scrutinare tutti gli elementi rilevanti, puntualmente dedotti e suffragati dalle parti, fra cui “…il perdurare dell’attribuzione nel tempo, l’importo delle somme richieste, le condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato e il correlato impatto «lesivo della prestazione restitutoria sulle condizioni di vita» dell’accipiens (sentenza n. 8 del 2023, cit. punto 12.2.1.), il comportamento complessivo delle parti nella relazione che, per effetto dell’erogazione indebita, s’instaura…”.

E ciò in quanto “…la tutela del legittimo affidamento, presidiata, in via primaria, dall’art. 3 Cost. e coessenziale al patto di solidarietà tra i cittadini e lo Stato e al nesso inscindibile che lega i diritti e i doveri (art. 2 Cost.), può temperare l’indefettibile e onnicomprensiva condictio indebiti, senza, però, vanificarla nel suo nucleo essenziale…”.