Nota a sentenza pubblicata sul sito dello Stduio Legale Scuderi-Motta

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Con la sentenza numero 130 depositata il 23 giugno 2023, la Corte Costituzionale si è espressa in merito alla compatibilità delle norme che dispongono il differimento della corresponsione, ai dipendenti pubblici, dei TFS (Trattamenti di Fine Servizio) col paradigma costituzionale.

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La questione sottoposta al vaglio della Consulta

Il TAR Lazio, con l’ordinanza numero 124 del 17 maggio 2022, ha sollevato, in riferimento all’art. 36 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’art. 12, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.

Il TAR remittente (investito della decisione sul ricorso con il quale un dirigente della Polizia di Stato cessato dal servizio per raggiunti limiti di età aveva chiesto il pagamento del trattamento di fine servizio senza il differimento e la rateizzazione previsti dalle disposizioni censurate) osservava in particolare che:

– sulla scorta della giurisprudenza costituzionale che riconduce i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti ai dipendenti pubblici nel paradigma della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, le disposizioni censurate, nel prevedere rispettivamente il differimento e la rateizzazione del versamento di tali prestazioni, si pongono in contrasto con la garanzia costituzionale della giusta retribuzione ai sensi dell’articolo 36;

– la corresponsione differita e rateale dell’indennità di fine servizio arrecherebbe al beneficiario un’utilità inferiore rispetto a quella derivante da una liquidazione tempestiva, in quanto è proprio attraverso l’integrale e immediata percezione di tali spettanze che il lavoratore si propone di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti;

– pertanto, anche in coerenza con i princìpi espressi dalla Consulta con la sentenza n. 159 del 2019, le disposizioni censurate ledono in modo irragionevole e sproporzionato i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., in quanto, pur essendo state introdotte per far fronte ad una situazione di crisi contingente, hanno ormai assunto carattere strutturale.

Il pronunciamento della Corte Costituzionale

Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle due norme in esame, “…posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore…”, con ampia e articolata argomentazione ha evidenziato come corresponsione differita e rateale delle indennità di fine servizio ai dipendenti pubblici si ponga in contrasto tanto con il principio di proporzionalità della retribuzione (espresso dall’articolo 36 della Costituzione), quanto – attesa la sua natura previdenziale – con il principio di adeguatezza dei mezzi per la vecchiaia (di cui all’articolo 38 della Costituzione), sollecitando quindi un intervento riformatore del legislatore.

In particolare, la Consulta ha evidenziato che:

– l’evoluzione normativa, stimolata dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 243 del 1993, punto 4 del Considerato in diritto), “…ha ricondotto le indennità di fine servizio erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell’àmbito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall’art. 2120 del codice civile (sentenze n. 258 del 2022, n. 159 del 2019 e n. 106 del 1996)…”, nel rispetto della “…finalità unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell’uscita dalla vita lavorativa attiva (sentenza n. 159 del 2019)…”;

– le indennità di fine servizio costituiscono una componente del compenso conquistato “…attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa (sentenza n. 106 del 1996) e, quindi, una parte integrante del patrimonio del beneficiario, il quale spetta ai superstiti in caso di decesso del lavoratore (sentenza n. 243 del 1993)…”, e pertanto esse hanno natura retributiva;

– le prestazioni in esame rientrano quindi nell’ambito applicativo dell’art. 36 Cost. “…essendo l’emolumento di cui si tratta volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una «particolare e più vulnerabile stagione dell’esistenza umana» (sentenza n. 159 del 2019)…”;

– inoltre “…la garanzia della giusta retribuzione, proprio perché attiene a princìpi fondamentali, «si sostanzia non soltanto nella congruità dell’ammontare concretamente corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione» (sentenza n. 159 del 2019)…”, atteso che il trattamento viene corrisposto nel momento della cessazione dall’impiego al preciso fine di agevolare il dipendente nel far fronte alle difficoltà economiche che possono insorgere con il venir meno della retribuzione;

– in ciò quindi si realizza la funzione previdenziale che, pure, vale a connotare le indennità in scrutinio, e che concorre con quella retributiva;

– non può però sottacersi come il trattamento di fine servizio costituisca un “…rilevante aggregato della spesa di parte corrente e, per tale ragione, incide significativamente sull’equilibrio del bilancio statale (sentenza n. 159 del 2019)…”, non potendo quindi escludersi in assoluto che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio;

– tuttavia “…un siffatto intervento è, anzitutto, vincolato al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità rispetto allo scopo perseguito…”;

– invero, la durata delle misure dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei “…sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali devono essere «eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso» (ordinanza n. 299 del 1999)…”;

– sul punto “…il termine dilatorio di dodici mesi quale risultante dall’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, e successive modificazioni, oggi non rispetta più né il requisito della temporaneità, né i limiti posti dai princìpi di ragionevolezza e di proporzionalità…”;

– infatti, “…il differimento operante in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio non realizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi alla tempestività della liquidazione del trattamento, da un lato, e al pareggio di bilancio, dall’altro…”, avendo la previsione richiamata smarrito un orizzonte temporale definito, trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza;

– a ciò deve aggiungersi che “…la perdurante dilatazione dei tempi di corresponsione delle indennità di fine servizio rischia di vanificare anche la funzione previdenziale propria di tali prestazioni, in quanto contrasta con la particolare esigenza di tutela avvertita dal dipendente al termine dell’attività lavorativa…”, non essendo infrequente che l’emolumento in esame venga utilizzato per sopperire ad esigenze non ordinarie del beneficiario o dei suoi familiari, e la possibilità che tali necessità insorgano nelle more della liquidazione del trattamento espone l’avente diritto ad un pregiudizio che la immediata disponibilità dell’importo eviterebbe;

– di conseguenza, la dilazione oggetto di censura, non essendo controbilanciata dal riconoscimento della rivalutazione monetaria, finisce per incidere sulla stessa consistenza economica delle prestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, allo scadere del termine annuale in questione e di un ulteriore termine di tre mesi sono dovuti i soli interessi di mora;

– nonostante la sentenza-monito del 2019 emessa dalla medesima Consulta, il legislatore non ha espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all’origine della riscontrata violazione, né si è fatto carico della spesa necessaria a ripristinare l’ordine costituzionale violato;

– tuttavia “…al vulnus costituzionale riscontrato con riferimento all’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non può, allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore…”;

– deve, infatti, considerarsi “…il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento in oggetto, in ogni caso, comporta; ciò richiede che sia rimessa al legislatore la definizione della gradualità con cui il pur indefettibile intervento deve essere attuato, ad esempio, optando per una soluzione che, in ossequio ai richiamati princìpi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalità, si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri…”;

– sennonché, “…la discrezionalità di cui gode il legislatore nel determinare i mezzi e le modalità di attuazione di una riforma siffatta deve … ritenersi, temporalmente limitata…”.

Pertanto, la Corte Costituzionale ha (ri)ammonito il legislatore rilevando come sia necessario – a fronte della lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame – un intervento riformatore prioritario, che contemperi l’indifferibilità della reductio ad legitimitatem con la necessità di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.

 

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Per ricevere ulteriori informazioni o una consulenza al riguardo, è possibile contattare l’Avvocato Simona Santoro all’indirizzo mail avvocato@simonasantoro.it.